Jorge Lorenzo si racconta, dentro e fuori dalla pista
POR FUERA
Anche l’Universitario partecipa alla settima edizione del Festival dello Sport. Oggi seguiremo per voi l’intervento di Jorge Lorenzo, ex pilota motociclistico vincitore di cinque titoli mondiali, due in classe 250 con Aprilia e tre in MotoGP con Yamaha.
ANNIVERSARI
Il 10 ottobre del 2010, esattamente quattordici anni fa, Jorge Lorenzo si laureava per la prima volta campione del mondo in MotoGP. “È stato sicuramente il giorno più felice della mia vita. Vincere il motomondiale è il massimo per un pilota professionista, da lì in poi puoi solo riconfermarti. Ricordo l’importanza della settimana prima di Sepang (Malesia, ndr), sapevo di avere diversi punti di vantaggio da Pedrosa (il secondo in classifica, ndr), ma nel nostro sport l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Generalmente dormo tanto e bene, ma quel fine settimana dormii tre ore. Ricordo che il giorno della gara l’avviatore della moto non funzionava e mancavano solo cinque minuti alla partenza. Ci sono voluti quattro minuti per far partire la moto, quindi potete immaginare quanto fossi agitato prima di raggiungere la griglia di partenza”.
DURA LA VITA
Dopo il ritiro dalle corse in MotoGP, Lorenzo ha scelto di aprire un podcast (DURALAVITA) insieme ad amici ed ex colleghi. Il tema di discussione, inutile dirlo, è il motociclismo. Il motivo del titolo, invece, è meno intuitivo. “In realtà è uno scherzo che ho inventato con un mio amico… Lui ha una casa meravigliosa a Lugano, con una vista bellissima. Un giorno, mentre guardavamo il panorama, gli dissi ‘dura la vita, amico mio?’ L’espressione ci piacque e diventò il titolo del podcast” – spiega Lorenzo. “Comunque, iniziare il podcast è stata una bella idea. Riunisco tante personalità – tra cui piloti, manager, giornalisti, capi meccanici – e insieme raccontiamo tutto quello che ci passa per la testa, come se fossimo al bar”.
Tra gli hobby di Lorenzo spicca anche la lettura. “Ho letto molte biografie, un giorno mi piacerebbe intervistare Michael Jordan. Ammiro anche Mohamed Ali, che nel corso della sua vita ha dimostrato di avere molto coraggio, prendendo anche delle decisioni antisistema, non scontate”.
MARTÍN, PECCO E MÁRQUEZ
In molti paragonano la rivalità tra Martín e Bagnaia a quella tra Rossi e lo stesso Lorenzo. Tuttavia, Lorenzo nota che l’ambiente motociclistico non è più lo stesso, così come il mondo che lo circonda. ‘Da un lato, il motomondiale è cambiato. Per esempio, è stata aggiunta la gara sprint, che è molto divertente da guardare. Dall’altro lato, il movimento ha perso un po’ di popolarità, anche le reti sociali intorno ai piloti sono cambiate. I giornalisti sono più attenti a quello che dici rispetto a quello che fai. Ora passiamo troppo tempo sul telefono, una volta era tutto più autentico”.
Ritornando sul duello tra Martín e Bagnaia: “È una sfida interessante perché entrambi commettono degli errori quando meno te lo aspetti. Entrambi devono andare oltre i propri limiti, anche perché gli inseguitori – Bastianini, Márquez – possono recuperare punti in classifica. Attualmente la Ducati è la moto più completa, non ha punti deboli. Se la Ducati fosse stata così competitiva nel 2016, non avrebbero avuto bisogno di me per lottare per il titolo… Però mancava poco, nel 2018 c’ero andato vicino”.
Il futuro compagno di squadra di Bagnaia sarà proprio Márquez, pilota che Lorenzo conosce bene. “Márquez è una bestia a livello sportivo, è un pilota super completo. Dal 2020 a oggi è stato molto sfortunato, gli infortuni gli hanno impedito di vincere altri tre o quattro mondiali. Anche se oggi non è fisicamente al top, resta comunque competitivo. Sarà interessante vedere cosa succederà la prossima stagione, quando lui e Pecco (Bagnaia, ndr) saranno compagni di squadra. Márquez è più grande di Pecco, in genere con il passare degli anni si prendono meno rischi, anche se hai molto coraggio come lui. Bagnaia invece ha l’età dalla sua parte, sarà interessante”.
RIVALITÀ NEL PADDOCK
Parlando del rapporto con i rivali e gli stessi compagni di scuderia, Lorenzo ha le idee piuttosto chiare. “Gli sportivi che competono per il titolo si odiano sportivamente, a maggior ragione se il tuo avversario è il tuo compagno di scuderia. Ma è una cosa naturale, assolutamente normale. È il tuo rivale e ha la tua stessa moto, quindi se perdi non puoi dare la colpa della sconfitta al motore o ad altre caratteristiche meccaniche. Ho odiato Pedrosa, Márquez, Valentino (Rossi, ndr), ma è nella natura della competizione”. Ciononostante, la fame di vittoria non è un valido motivo per mettere a rischio la sicurezza degli altri piloti in pista. “Ad esempio, non condividevo il modo di correre extra-aggressivo di Márquez, anche se ora ha un po’ più di rispetto nei confronti dei rivali. Dobbiamo sempre ricordare che il nostro sport è molto pericoloso, con un rischio di morte concreto. Si può migliorare la sicurezza dei circuiti, ma le moto sono sempre più veloci”.
Nel corso della sua carriera il pilota maiorchino ha avuto numerosi rivali per il titolo. “Pedrosa nel 2005 era durissimo da battere, infatti non riuscii mai a farlo. Anche Stoner era un talento pazzesco. Valentino era molto intelligente, improvvisava molto quando ci battevamo per la vittoria. Staccava molto forte, come me. Márquez non mollava mai, indipendentemente dalla pista. Anche se il circuito non gli piaceva, ti dava sempre del filo da torcere”.
IL RAPPORTO CON VALENTINO
Tra le rivalità in pista, quella con Valentino Rossi è certamente la più ricordata. “Diciamo che entrambi avremmo vinto di più senza l’altro” – esordisce Lorenzo. “Abbiamo perso dei titoli, ma la nostra rivalità sportiva ci spingeva a correre più veloce. Quando nel 2015 vinsi il titolo in Spagna, dalla tribuna arrivarono migliaia di fischi. All’epoca Valentino era come Maradona nel calcio, Michael Jordan nel basket, Tiger Woods nel golf. E anche in Spagna era così, nei circuiti l’80% del pubblico era giallo. Nel 2015 i tifosi spagnoli fischiarono me e Márquez, loro connazionali e due dei piloti più veloci del mondo. Oggi con Valentino ho un rapporto cordiale, c’è il massimo rispetto reciproco. Ho rispetto per il suo carisma e per quello che ha fatto. Quando abbiamo smesso, abbiamo capito che non aveva senso trasformare il nostro odio sportivo in odio personale. Nel 2020 mi ha anche invitato al ranch e mi sono divertito”.
GLI INIZI
Sfogliando l’album dei ricordi, Lorenzo sottolinea l’importanza del padre nell’avvicinamento al motorsport. “Mi sono avvicinato al motociclismo per merito di mio padre. Lavorava come meccanico e ha sempre corso a livello amatoriale. In me vedeva la possibilità di realizzare il suo sogno di correre coi professionisti. Fu lui a fabbricare la mia prima moto, avevo solo tre anni. I nostri sogni erano gli stessi, eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Siamo sempre stati due grandi testardi, ma lo ringrazio per avermi insegnato la disciplina e la franchezza”.
A soli quindici anni, arriva il debutto in classe 125. “A Jerez (circuito del debutto, ndr) piansi, una delle poche volte in vita mia. Dopo l’esordio i ragazzi del team prepararono una torta e non riuscii a trattenermi. Organizzarono anche un incontro con Max Biaggi. Era il mio idolo e diventammo amici. Quel giorno parlammo di molte cose, anche di Rossi… Non gli piaceva molto.”
Dopo ottime stagioni in classe 125 e due titoli mondiali in 250, la Yamaha ingaggia Lorenzo per gareggiare in MotoGP. “La Yamaha era perfetta per me, era una moto stabile e veloce. Nelle prime tre gare partì in pole position e vinsi la quarta. Pensavo di essere Dio. Poi alla quinta gara feci un volo di cinque metri e mi ruppi due caviglie. La gara successiva arrivai quarto con mille infiltrazioni. Cinque anni dopo mi spaccai la clavicola di giovedì, la sera stessa presi un volo privato e mi operai a Barcellona. Il pomeriggio successivo provai a fare le qualifiche, ottenni un buon piazzamento e arrivai quinto in gara”.
C’è spazio anche per discutere delle strategie in gara, spesso rivelatesi vincenti. “Prima di ogni gara cercavo di concentrarmi e visualizzare ogni possibilità di sorpasso o di allungo sugli inseguitori. Quando partivo in quinta o sesta posizione, visualizzavo mentalmente il tracciato e tentavo di calcolare ogni sorpasso, in che curva l’avrei fatto, in che momento della gara, eccetera. L’80% delle volte ci azzeccavo, e la mia previsione diventava realtà”.
MEZZI E FINI
Tra i piloti e gli sportivi in generale, non è raro provare una certa nostalgia nei confronti dell’adrenalina che si provava poco prima di entrare in pista o in campo. Per Lorenzo non è così, anche se ricorda con piacere i festeggiamenti dopo le vittorie. “Non ho molta nostalgia delle gare, mi diverto molto anche fuori. Tuttavia, dopo l’ultima vittoria di Márquez ad Aragón, ho ripensato ai miei festeggiamenti con il team dopo una vittoria, alla felicità assoluta di vincere un gran premio”.
Per concludere, c’è spazio per un ultimo pensiero sul suo concetto di velocità. “Per me la velocità e solamente il mezzo per vincere. Se sei più veloce degli altri, vinci e hai successo nella vita. Andare in moto mi piace, ma non sono un pazzo. A me piace vincere e sono stato fortunato, solo lo 0,001% di chi intraprende questo percorso arriva dove sono arrivato io. Mi sento molto privilegiato in questo senso”.