InSuperAbili: Bebe Vio & Friends raccontano le Paralimpiadi

I VOLTI DELLE PARALIMPIADI

Anche l’Universitario partecipa alla settima edizione del Festival dello Sport. Oggi seguiremo per voi l’intervento di Bebe Vio Grandis, schermitrice paralimpica e vincitrice di due medaglie di bronzo alle ultime Paralimpiadi. Racconteranno la loro esperienza parigina anche Vittoria Blanco, medaglia di bronzo nel nuoto, Giuliana Chiara Filippi, giovane promessa del salto in lungo, Elisa Spediacci, libero della nazionale femminile di sitting volley, e Alessandro Sbuelz, componente della nazionale maschile di basket in carrozzina.

EMOZIONI A CINQUE CERCHI

Non c’è due senza tre. Alla vigilia della sua terza Paralimpiade, Bebe Vio partiva come grande favorita alla vittoria di una medaglia. Tuttavia, confermare le aspettative non è mai facile, e alle volte rischiano di trasformarsi in un grande peso. “La paura di ogni atleta è quella di non riuscire a riconfermarsi dopo due Paralimpiadi andate molto bene. Dopo due edizioni, per la prima volta stavo bene fisicamente, il mio corpo rispondeva al 100%. Quindi, arrivavo a Parigi con la pressione di dover vincere a ogni costo” – racconta la schermitrice. “Comunque, tra tutte le Paralimpiadi a cui ho partecipato, queste sono state le più belle. Rio era lontanissimo da casa, a Tokyo non poteva venire nessuno, mentre Parigi era più vicina e tutti i miei amici sono venuti a tifarmi. Per me sono state un po’ le Olimpiadi dell’amore”.

Bebe non rappresenta solo il movimento paralimpico, ma lo sport in tutte le sue declinazioni. Per questo è stata invitata alla Cerimonia d’Apertura di entrambe le competizioni. “Poter rappresentare lo sport paralimpico all’interno della Cerimonia d’Apertura delle Olimpiadi è stato bellissimo, così come portare la fiaccola durante la Cerimonia delle Paralimpiadi. Si tratta della maggiore aspirazione per ogni atleta, stai rappresentando qualcosa di molto più grande di te. Mi sono esercitata un sacco per l’occasione, avevo paura di bruciarmi il viso col fuoco (ride, ndr)”.

Accanto a Bebe Vio, altri protagonisti della spedizione paralimpica hanno raccontato la loro esperienza a Parigi. Tra questi, Vittoria Bianco ha portato a casa una meravigliosa medaglia di bronzo. “Questa medaglia è stata completamente inaspettata. Nonostante le difficoltà, ho compreso che bisogna credere sempre nei propri mezzi per raggiungere i propri sogni. In qualifica pensavo solo a divertirmi, non davo peso al risultato finale. Poi in finale ho cercato di dare il massimo, ho finito la gara e ho guardato il tabellone, ma non riuscivo a vedere i tempi sullo schermo a causa della mia miopia! Non esultai, vedevo i miei amici festeggiare ma non capivo cosa fosse successo. Salire sul podio con l’ungherese (Zsofia Konkoly, ndr) e l’australiana (Lakeisha Patterson, ndr) è stato indescrivibile, sono le due migliori atlete nella categoria”.

Giuliana Chiara Filippi era l’atleta più giovane della spedizione. “Nonostante fossi la più piccola, tutto il gruppo mi ha accolto benissimo. Sono stati tutti carinissimi, mi hanno sostenuto, volevano capire il mio stato d’animo. Purtroppo, nel salto in lungo le emozioni hanno giocato un brutto scherzo, ma è stato tutto fantastico. Da piccola non ero molto sicura di me, mi vergognavo della mia disabilità. Non appena entrata nel team, vedevo gli altri che prendevano in giro la loro disabilità, vedevo Ruggero e Teresa (genitori di Bebe, ndr) che scherzavano… Mi chiedevo, perché lo fanno? Io mi vergogno… Poi ho capito che la mia non è per nulla una disabilità, ma il mio punto di forza”.

Parigi non ha ospitato solo sport individuali, ma anche sport di squadra. Tra questi, il movimento italiano di sitting volley – o pallavolo in carrozzina – ha ottenuto ottimi risultati, come racconta il libero Elisa Spediacci: “Far crescere uno sport come il nostro non è una cosa banale, la nazionale femminile di sitting volley è stata l’unica squadra italiana a qualificarsi alle Paralimpiadi. Siamo riuscite a ripeterci dopo la prima qualificazione a Tokyo ed è stato un grande successo. Dopo la vittoria agli europei di Caorle le aspettative erano alte. Come ha detto Bebe, tutti si aspettano una medaglia. Noi ci siamo confrontate con potenze mondiali come gli Stati Uniti e la Cina e abbiamo fatto una bella figura. Chi ci guarda da casa non sempre si accorge di quello che noi giocatrici viviamo in campo. Dal 2008 Stati Uniti e Cina si giocano il podio alle Paralimpiadi. Per noi affrontare questi colossi rappresenta il coronamento di un sogno. Chiaramente giocavamo per vincere, abbiamo sempre dato il massimo. Poi non è successo, ma è stato comunque fantastico”.

Infine, il cestista Alessandro Sbuelz parla della sua esperienza dagli spalti, in attesa della prossima Paralimpiade. Sfortunatamente la squadra italiana di basket in carrozzina non era presente a Parigi, ma con il progetto Fly2Paris diversi atleti hanno potuto raggiungere i colleghi e supportarli. “Purtroppo, il basket in carrozzina non si è qualificato, ma grazie a Fly2Paris io e altri atleti non qualificati abbiamo tifato i nostri amici dal vivo. A prima vista può essere frustrante, perché osservando gli altri dalla tribuna pensi che avresti potuto essere in gara anche tu. Poi alla Cerimonia di Chiusura ho visto il video di Los Angeles 2028: è la patria del basket, dovrò esserci per forza”.

LA FORZA DEL GRUPPO

Dopo le medaglie a Rio 2016 e Tokyo 2020, Bebe Vio si è riconfermata a Parigi, portando a casa due medaglie di bronzo, una nel fioretto individuale e una in quello di squadra. “La gara individuale è stata tosta” – racconta Bebe. “In semifinale dovevo gareggiare contro Xiao, il fioretto cinese è fortissimo… So l’inno cinese a memoria dopo averlo sentito così tanto alle premiazioni (ride, ndr). Strategicamente è stata più forte lei, soprattutto nel posizionamento della carrozzina in pedana. A un certo punto ho pensato di staccarmi il braccio e lanciarglielo addosso (ride, ndr), non c’era possibilità di colpirla con la spada. Dopo aver perso la semifinale hai solo dieci minuti per realizzare di non poter più vincere l’oro. Le emozioni dentro di te sono tante ed è difficile controllarle. Devi resettare tutto in poco tempo e provare a portare a casa il bronzo. Lì si vede chi ha la forza per ripartire, come Edoardo Giordan (schermitore paralimpico, ndr). Fortunatamente c’erano i ragazzi di Fly2Paris. In quel momento pensi di aver deluso tutti, ma loro erano così carichi e felici per il mio bronzo, come se fosse la medaglia d’oro. Poi ho vinto un secondo bronzo con il fioretto a squadre: vincere insieme ai tuoi compagni è sempre più bello di vincere da solo”.

ART4SPORT

Art4Sport è una ONLUS che si occupa di migliorare la qualità della vita di giovani portatori di protesi e quella delle loro famiglie, promuovendo la pratica dello sport paralimpico come terapia fisica e psicologica. Bebe, Vittoria, Giuliana, Elisa e Alessandro fanno tutti parte di questa organizzazione. “Il gruppo di Air4Sport è stato fondamentale, sono tornata a nuotare grazie a loro. Con il progetto Fly2Tokyo ho creduto nuovamente in me stessa, ho avuto l’opportunità di allenarmi con un bravo preparatore atletico, seguire una dieta con un nutrizionista… Sono tornata a sentirmi un’atleta di alto livello” – confessa Vittoria Blanco. Secondo Giuliana Chiara Filippi, Art4Sport significa soprattutto rinascita e famiglia: “Ho ritrovato me stessa e abbiamo creato una bellissima squadra e famiglia. Siamo tutti uniti, le persone dietro al progetto sono straordinarie”. Dello stesso avviso è Elisa Spediacci: “Per me è come una seconda famiglia, un luogo in cui ti riconosci. Quando sono stata male ho faticato a reinserirmi nel mondo. In mezzo a questi ragazzi, invece, mi sono sentita subito a casa. Inoltre, ho ritrovato la speranza e la motivazione per partecipare alle Paralimpiadi”. Infine, Alessandro Sbuelz evidenzia il ruolo della ONLUS nella ricostruzione di sé in diverse sfere della quotidianità. “Ogni progetto che organizziamo serve a ricostruire una parte di noi stessi. Air4Sports ricostruisce la parte famigliare, Fly2Paris quella personale. La promozione dei valori paralimpici, invece, non serve solo a noi, ma a tutta la società”.

LA BEBE VIO ACADEMY

La Bebe Vio Academy è un progetto proposto da Art4Sports, incentrato sulla promozione dello sport paralimpico tra ragazzi disabili e normodotati. “È un progetto che abbiamo creato tre anni fa” – racconta Bebe. “Non volevo essere l’unica persona in palestra a fare sport paralimpico, volevo vedere un bambino normodotato e un bambino con disabilità giocare e allenarsi insieme. Mi chiedevo come mai non vedessi nulla di tutto questo nelle palestre, ma poi mi sono accorta che mancavano le strutture adatte agli sport paralimpici. Tre anni fa abbiamo cercato di colmare queste lacune, aprendo l’Academy a Milano. Accogliamo sia bambini normodotati, sia bambini con disabilità. Se i bambini vogliono giocare a basket, il bambino normodotato corre a prendere la carrozzina e gioca insieme al bambino disabile. Stiamo facendo un grande lavoro di inclusione. Attraverso il gioco, i bambini acquisiscono un ricco patrimonio culturale che li accompagnerà per tutta la vita. A novembre l’Academy aprirà anche a Roma”.

DIETRO LE QUINTE

Alla fine dell’intervento, Giuliana Chiara Filippi e Bebe Vio hanno risposto ad alcune domande di noi giornalisti.

GIULIANA CHIARA FILIPPI

Giuliana, quanto è difficile passare dallo Stadio Quercia di Rovereto allo Stadio Olimpico con 80.000 persone?

Diciamo che è parecchio difficile, allo Stadio Quercia non ci sono così tante persone a guardarti. A Parigi sentivo un’adrenalina pazzesca, entri in pista e vedi tutti quei tifosi… Ti dà una carica assurda, capisci perché fai questo per lavoro.

Prima hai detto che ti vergognavi della tua disabilità. Che cosa ti ha aiutato a superare la vergogna, e in che modo?

Sì, mi vergognavo parecchio, ma ora sto molto meglio e riesco ad accettare la mia disabilità. Mi vergognavo quando le persone intorno a me mi guardavano con sguardi brutti o di pietà. Era come se mi giudicassero come inadeguata, con quella gamba e quel difetto era come se non rientrassi nella loro idea di bellezza. Poi ho capito che quel ‘difetto’ è il mio punto di forza, quindi ho cominciato a fregarmene dei giudizi e andare avanti con la mia vita. Sono felice così.

Che obiettivo ti eri posta a Parigi?

L’obiettivo a Parigi era godermi la Paralimpiade. Sapevo di essere la più piccola, ero consapevole dei miei mezzi e di poter fare bene, ma non mi sono concentrata sul risultato. Ho cercato di godermi al massimo il momento, andare a Parigi e fare quello che mi piace: correre e saltare.

Alla prossima si va per vincere?

Chissà, vediamo cosa mi riserverà il futuro. Ora mi concentro sui Mondiali in India del prossimo anno, poi vediamo.

BEBE VIO

Bebe, ieri Velasco (allenatore nazionale femminile di volley, ndr) diceva che non ci sono segreti per i successi. Io ti chiedo, qual è il segreto del tuo sorriso?

Anche io penso che non ci siano grandi segreti per il successo, però c’è una lista infinita di cose da non fare se vuoi vincere. Io credo nella ricetta delle cose da non fare. Il segreto del mio sorriso sono tutte le persone che mi circondano. Ho una squadra di ragazze e ragazzi pazzeschi, in qualsiasi momento della mia vita non mi sono mai sentita sola. Ho una famiglia e degli amici fantastici: il loro amore mi rende felice.

Qual è la lista delle cose da fare per vincere, invece?

Se non mi alleno, non vinco. Se mangio male, non vinco. Se bevo troppo, non vinco. Se faccio tardi la sera, non vinco. Se non ho un buon allenatore, non vinco. Mia madre mi ha sempre insegnato a evitare certe cose, quindi seguo i suoi consigli e continuo a evitare tutto ciò che può compromettere le mie performance. In pedana provo a dare il massimo. Credo fortemente nelle tantissime ore di lavoro e nel rispetto reciproco all’interno della squadra. Se hai un allenatore veramente bravo, basta seguire i suoi consigli ed è impossibile andare male.

Prima hai presentato questo progetto meraviglioso dell’Academy. Puoi raccontarcelo meglio?

La Bebe Vio Academy è un progetto fighissimo, abbiamo iniziato tre anni fa a Milano. Tutti i ragazzi dai 6 ai 18 anni possono partecipare. Le iscrizioni aprono all’inizio dell’anno e sono valide per i seguenti 12 mesi. I ragazzi hanno l’opportunità di allenarsi in sei discipline diverse per quattro ore a settimana. Abbiamo basket in carrozzina, scherma in carrozzina, sitting volley, tennis in carrozzina, calcio e atletica. La cosa bella è che accogliamo sia bambini normodotati, sia bambini con disabilità fisiche. Lo scopo è fargli fare sport insieme, fargli comprendere cosa sia l’integrazione attraverso lo sport. A Milano siamo per metà alla Bicocca, dove abbiamo la pista d’atletica, e per metà al Palaiseo. L’iscrizione è assolutamente gratuita, l’obiettivo è stare bene insieme. Il 5 novembre apriamo anche a Roma, al CUS della Sapienza, non solo per i ragazzini dai 6 ai 18 anni, ma anche per i volontari che vogliono venire ad aiutarci. Offriamo anche crediti sportivi per l’università.

Negli ultimi anni lo sport paralimpico sta guadagnando seguito e ascolto. A cosa è dovuto e cosa resta ancora da fare?

Abbiamo avuto figure come Alex Zanardi, il primo atleta con disabilità che ho incontrato, che ci ha mostrato quanto lo sport possa essere benefico, non solo per il corpo ma anche per la mente. Lo sport è la medicina per curare il mondo. Perché lo sport paralimpico è cresciuto così tanto? Semplicemente perché la gente si innamora delle storie. Il mondo paralimpico ha la fortuna di raccontare un sacco di storie, non solo legate alla pedana, alla pista o al campo, ma anche a tutto quello che è successo prima. Siamo un mondo di grandi raccontatori di storie.

Che emozione ti dà vedere un ragazzo che ha una disabilità e inizia a fare sport grazie a Bebe Vio?

Sentire parlare i nostri ragazzi (di Art4Sport, ndr) è stato fighissimo. Oggi siamo 49 all’interno della ONLUS. Tutti sono portatori di un messaggio, vanno a parlare nelle scuole, rilasciano interviste, partecipano a eventi… A questo serve la comunicazione, a lanciare messaggi positivi. Ognuno ha la possibilità di lasciarsi ispirare da chiunque, io ad esempio mi faccio ispirare da mia mamma, da mia sorella, dai bambini… Ogni persona può consegnare qualcosa agli altri e suscitare in loro una reazione. Noi vogliamo proprio questo: shakerare le persone.

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