Il nuovo ddl sicurezza – Tra emergenze ignorate e pene inasprite
Negli ultimi tempi si è discusso molto del tema della sicurezza, a partire dal servizio che ha investigato sulla criminalità dilagante in quel della città di Trento e che ha destato polemiche da parte di cittadini e dell’amministrazione stessa, per giungere al nuovo, ambiguo, disegno di legge in materia.
Il ddl 1660, passato alla camera il 18 settembre 2024 e ora all’esame del senato, include disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario. Rappresenta un pacchetto di norme molto ampio che introduce nuovi reati e inasprimenti di pene già esistenti, con l’obiettivo, secondo i promotori del progetto, di rafforzare la sicurezza pubblica.
Molte delle disposizioni incluse nel disegno di legge sono state fortemente criticate sia dalla società civile che da esperti (il giurista Patrizio Gonnella la definisce come “il più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana”), da associazioni per i diritti civili, e, soprattutto, dall’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). L’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (Odihr), a seguito della richiesta avanzata dalla vicepresidente della commissione Giustizia del Senato Ilaria Cucchi, ha analizzato le disposizioni ritenendo alcune formulazioni dei reati introdotti troppo vaghe – un fattore che lascerebbe spazio a possibili interpretazioni e ad applicazioni arbitrarie. Diverse disposizioni, inoltre, rischiano di limitare gravemente l’esercizio di libertà e diritti fondamentali, non rispettando in modo consono il principio di proporzionalità delle sanzioni penali. Esempi chiari sono l’inasprimento delle pene per i casi di protesta pacifica e disobbedienza civile.
Tra gli aspetti più discussi del ddl rientra l’introduzione di pene severe per la resistenza passiva. Questa forma di protesta è di solito legata a scopi pacifici e usata principalmente come strumento per poter manifestare il proprio dissenso, esercitando il proprio diritto di espressione e manifestazione. La nuova norma introdotta, che prevede pene fino a cinque anni di reclusione per chi crea “disordini” quali sit-in o blocchi stradali, non fa che creare un pericoloso precedente di criminalizzazione del dissenso pacifico, mettendo, appunto, a rischio il diritto costituzionale di manifestare liberamente e trasformando ogni forma di contestazione in una potenziale minaccia alla sicurezza nazionale.
In aggiunta, vengono introdotte misure fortemente discriminatorie nei confronti dei migranti irregolari, tra cui il divieto di acquistare SIM telefoniche senza un permesso di soggiorno, rischiando di isolare ulteriormente una popolazione già emarginata e rendendo ancora più difficile l’accesso a servizi fondamentali.
Le pene sono inasprite anche per chi occupa abusivamente gli immobili. È un reato già esistente, e uno dei motivi principali per cui i proprietari non riescono ad avare indietro le loro abitazioni è la lentezza del sistema giustizia – questione che, però, non è stata affrontata. Questo inasprimento, in particolare, non fa che aggirare un ulteriore problema che affligge il nostro Paese: la crisi abitativa cronica. Solo nel 2023 sono stati emessi 39 mila provvedimenti di sfratto; si tratta principalmente di sfratti per morosità (78%), per necessità del locatore e per finita locazione. Inoltre, l’offerta edilizia pubblica rimane gravemente insufficiente, con un fabbisogno stimato di 600.000 unità e tempi di attesa per le graduatorie e per l’assegnazione degli alloggi molto lunghi. Dilaga, infine, la povertà assoluta: delle 1,9 milioni di famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta, il 45,3% vivono in affitto, e la mancata o la poca efficienza nel gestire un problema talmente critico e radicato non fa altro che aggravare la situazione.
Il ddl non affronta neanche il problema più urgente del sistema carcerario italiano, ossia il sovraffollamento. Nel 2023 le carceri italiane ospitavano un numero di detenuti eccessivo rispetto alla capienza regolamentare di 50.900 posti, con gravi conseguenze sulla qualità della vita degli stessi e sul funzionamento del sistema penale. Il progetto non intende occuparsi né della lentezza dei processi né del miglioramento del sistema giudiziario e delle strutture detentive, che potenzialmente si troveranno a dover ospitare un numero più alto di persone.
Simbolo della crisi è il numero in aumento di suicidi in carcere. È una tragedia che mette in luce le condizioni disumane in cui versano i detenuti, talvolta privati di supporto psicologico o dell’accesso ai trattamenti sanitari. L’introduzione di nuovi reati, senza il conseguente miglioramento delle strutture o delle condizioni di vita al loro interno, rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, aggravando la pressione sui detenuti, sui tribunali, sulle carceri, e sugli operatori che lavorano al loro interno, tra cui le guardie.
La situazione non migliora nei Cpr, dove le proteste verranno punite fino ai 20 anni di reclusione nel caso in cui diventassero violente e qualcuno rimanesse ferito o ucciso. Questi luoghi di trattenimento per i cittadini stranieri in attesa di rimpatrio sono stati spesso al centro di proteste per le condizioni di vita degradanti, e negli ultimi mesi alcune strutture sono state poste sotto indagine dalla magistratura per abusi, cattiva gestione e condizioni inumane.
Il ddl sicurezza, nel complesso, sembra più orientato a colpire le fasce deboli della popolazione e a reprimere le manifestazioni di dissenso, piuttosto che a risolvere problemi gravi, che rischiano di acuirsi. Non vengono affrontate le cause profonde dell’insicurezza, aumenta la relatività e l’arbitrio: ora una violazione di legge in nome di un atto critico, quale una protesta pacifica, viene equiparato a un crimine più pesante. È un progetto colmo di contraddizioni e ambiguità: viene data la facoltà alle forze dell’ordine di poter detenere una seconda arma al di fuori dell’orario di servizio e senza licenza, ma non si tratta la questione dei codici identificativi sui loro caschi; viene accomunata la cannabis light alle sostanze stupefacenti, vietandone coltivazione, vendita e commercializzazione, ma non si parla della criminalità organizzata e delle mafie.
È evidente, dunque, che anche un tema critico come quello della sicurezza è stato reso ideologico: il ddl non fa che riflettere la visione populista adottata dalla destra, che vuole dare una risposta immediata al suo elettorato, senza però pensare alle possibili conseguenze a lungo termine. La sicurezza è stata concepita dai promotori del progetto come un problema meramente politico quando, in realtà, è un problema sociale e, soprattutto, apartitico.