“La guerra ci sta distruggendo il Paese”: intervista a Jamil Mezher

Tutti sappiamo cos’è successo il 7 ottobre dell’anno scorso. Ogni giorno da un anno sui giornali si può leggere dell’ultimo bombardamento, dell’ultimo attacco o dell’ultima città o paese distrutto. Per chi è interessato alla questione bastano cinque minuti di lettura per informarsi su cosa sta succedendo. Ma cosa sappiamo delle persone che vivono in questi paesi? Di chi sta sotto quei bombardamenti di cui leggiamo ogni giorno? 

Una di queste persone si chiama Jamil Mezher e vive a Beirut con la sua famiglia. Un lavoro in Libano non basta, quindi Jamil fa la guida turistica in giro per il Paese, in molte zone che oggi non sono più sicure, lavora in banca e collabora con un’azienda spagnola. 

Dove vivete adesso tu e la tua famiglia?

Siamo di nuovo a Beirut: ho 4 figli, due sono all’università e due vanno ancora a scuola. Quando a settembre sono iniziati i bombardamenti a Beirut, soprattutto nella zona sciita, ci siamo spostati al nord verso Byblos. Abitiamo a 1km circa dal quartiere sciita; non siamo abituati ai bombardamenti e avevamo paura. Dal mio balcone si possono vedere i i missili e i palazzi distrutti. Ma a settembre inizia la scuola, e venire dal nord a Beirut tutti i giorni era difficile. Quindi quando abbiamo visto che la situazione era più sicura e ci siamo abituati ai rumori forti siamo tornati a casa, perché i miei figli devono andare a scuola. Mentre i miei figli che fanno l’università frequentano le lezioni online. 

Com’è cambiata la vostra vita da settembre? 

Sicuramente lasciare casa è stata una cosa molto difficile, non sapevamo cosa fare. Per fortuna abbiamo un amico molto generoso che ci ha offerto casa sua perché vive a Roma e viene solo una o due volte all’anno. Il problema è, però, che le famiglie sciite colpite dai bombardamenti sono scappate verso Beirut e hanno provato ad aprire le case vuote per rifugiarsi lì. Quindi avevamo paura di tornare a casa e trovarla occupata da qualcun altro. Le autorità locali, però, nella nostra zona hanno cercato di accogliere nelle piazze vuote queste persone con tende, acqua e qualcosa da mangiare. Nella nostra zona è vietato affittare case a queste famiglie perché non sappiamo se siano capi di Hezbollah. Queste persone sono normali, hanno famiglia, vivono in case normali, vestiti come tutti, ma il problema è che quando Israele ne trova uno manda un missile e distrugge tutto il palazzo. 

Prima di settembre sentivate anche a Beirut l’instabilità di alcune zone del paese? 

No, a Beirut fino a settembre non si percepiva. Ma è vero che l’economia ne risente da un po’: abbiamo perso tutta la stagione turistica, importare e esportare merci sta iniziando a diventare sempre più costoso, in prezzi sono aumentati. E questa situazione continua da ottobre 2023. Io da quel momento non ho avuto più turisti che volessero venire in Libano. 

All’inizio della guerra la situazione era sotto controllo: la priorità di Israele era la guerra contro Gaza e lo Stato voleva aiutare Gaza, ma non entrare in una guerra così. 

Anche i libanesi sono divisi politicamente: una parte è d’accordo con Hezbollah, ma la maggior parte dei cristiani è preoccupata all’idea di scontrarsi con Israele. 

Ad oggi interi villaggi del sud e nella zona della Beccah sono stati distrutti. In molti si sono spostati verso le zone cristiane del nord e le persone hanno aperto le loro case e scuole come a voler dire “non siamo d’accordo con voi nella politica, ma vi accogliamo lo stesso”.

Quali sono le tue speranze per il futuro? 

La situazione è veramente difficile. Non c’è speranza che la guerra finisca a breve. Dal 1982, quando Hezbollah ha iniziato ad essere una milizia libanese per resistere ad Israele, l’Iran ha pagato parecchio per armarla. Quindi sono diventati molto potenti, quasi uno stato parallelo allo stato libanese ufficiale. Hanno come punto forte l’essere una milizia, quindi non si vedono e non si sa dove siano. Israele ha deciso di distruggere tutto questo, quindi noi pensiamo che ci vorrà almeno un anno perchè la guerra finisca, soprattutto se nessuno dei due ha intenzione di arrendersi. Ma questa guerra ci sta distruggendo il Paese. Forse i risultati delle le elezioni americane potranno influire sulla situazione, anche perchè c’è bisogno di una soluzione politica, ma l’Iran vorrà sicuramente un prezzo alto per fermare Hezbollah. 

Noi poi come famiglia cristiana abbiamo paura, non tanto per i bombardamenti perché Israele è molto precisa nella scelta dei luoghi, ma perché tanti cristiani vogliono lasciare il libano. Noi cristiani nel medio oriente siamo una minoranza: il libano è l’unico paese arabo ad avere un presidente della repubblica cristiano. Ma se i cristiani scappano, quelli che rimangono potrebbero perdere la propria influenza. Rischiamo di rimanere isolati e di non poter più pregare liberamente. 

Voi come famiglia avete mai preso in considerazione l’idea di andarvene?

Ho fatto i visti, perché se la situazione peggiora e rischiamo di metterci in pericolo dobbiamo andarcene. Il rischio potrebbe essere quello di una guerra civile: gli sciiti si stanno spostando dalle loro zone e questo crea tensione nelle zone cristiane e druse dove stanno andando ad abitare. Ma lì per loro non c’è lavoro. La situazione qui è davvero critica: tante persone hanno perso la propria casa o membri della propria famiglia, non sanno dove andare e avrebbero bisogno di aiuti finanziari e psicologici. Tanti sono stati accolti nelle scuole pubbliche, quindi i ragazzi vanno a scuola a turno perché le aule sono occupate. Siamo in piena crisi e non è facile. In più siamo all’inizio dell’inverno quindi bisogna trovare una soluzione anche per i riscaldamenti: le scuole non sono fatte per viverci dentro. Anche per quanto riguarda gli ospedali la situazione non è buona: quando c’è un bombardamento i pazienti feriti hanno la precedenza, gli altri non possono nemmeno entrare. Quindi mancano non solo i posti letto ma anche i medicinali di base. Pensa poi che in Libano c’erano 2 milioni di rifugiati siriani che hanno preferito tornare nel paese da cui sono scappati piuttosto che rimanere in Libano. Il problema è da noi molti lavori venivano fatti da loro quindi non c’è più personale in determinate occupazioni. Tutto questo ha conseguenze orribili sulle persone. 

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