Criminalità organizzata e il contrasto europeo: l’intervista ai procuratori europei P. Profiti ed S. Castellani
L’ultimo incontro di “Crepe nel mondo” organizzato da Unitin riscuote grande successo
Una crepa che colpisce tutt’ora la nostra società si insinua laddove la presenza dello Stato si fa poco sentire ed è quasi invisibile agli occhi di molti, che non riescono o fanno finta di non vedere perché complici. Questa molto spesso semplicemente sfugge al controllo delle istituzioni e colpisce in modo imprevisto tutti noi: è la criminalità organizzata, che niente ha a che vedere con quella delle serie tv come “La Casa di Carta”, dove i membri delle bande criminali vengono romanticizzati e ci sembra quasi di essere dalla loro parte. Purtroppo non c’è nulla di romanzesco nella vita reale, perché –come hanno ribadito amareggiati i procuratori europei P. Profiti e S. Castellani durante l’ultima conferenza del ciclo di incontri “Crepe nel mondo”, l’11 novembre scorso nell’aula Kessler di Sociologia – siamo noi cittadini i primi a rimetterci. Combattere i crimini di natura finanziaria e le mafie che ci sguazzano dentro e ne fanno largo uso per arricchirsi è l’obiettivo dei nostri relatori, che collaborano da pochi anni in una squadra europea, EPPO, formata da altri esperti in materia giudiziaria degli Stati membri. È un progetto ambizioso ed efficiente il loro, un vero passo concreto verso la condivisione d’indagine e cooperazione investigativa europea, migliore nel contrastare queste organizzazioni criminali, sempre più diffuse, professionalizzate e difficili da riconoscere, e di cui è sempre più complicato bloccare le azioni malavitose. Di questo e molto altro si parla nell’intervista in merito alla loro carriera professionale e le sfide attuali e future nella lotta contro associazioni criminali e mafiose nel contesto dell’Unione Europea.
Buonasera, sono lieta di potervi intervistare. L’incontro che avete svolto poco fa è stato davvero illuminante, vi ringrazio per ciò che siete riusciti a trasmettere. Ora ne approfitto per farvi qualche domanda e curiosità. Se siete pronti iniziamo.
P&S: Si, certo. Grazie a lei dell’intervista, ci hanno molto piacere essere qui presenti oggi ed essere riusciti ad incuriosirvi riguardo la nostra professione.
Benissimo, allora, per iniziare, quali sono le maggiori sfide che avete affrontato nella vostra carriera e percorso professionale?
P: I casi di maggiore complessità all’interno della mia carriera di per sé non sono stati, e può sembrare assurdo, quelli inerenti all’antiterrorismo o sentenze contro atti terroristici, ma i reati contro la pubblica amministrazione. Questo perché percepisci molta più pressione durante i processi contro persone influenti del potere politico locale e sono al tempo stesso in ballo questioni di credibilità professionale tua e dei personaggi in vista. Ho avuto esperienza di questi processi anche in Trentino, e devo dire che sono stati quelli in cui la tensione è stata davvero notevole, perché i processi non si vincono e si perdono, ma si fanno per responsabilità professionale. Se quei processi poi fossero andati male, dal punto di vista della magistratura locale l’impatto sarebbe stato decisamente negativo per la credibilità di tutti, ed io sentivo di avere un peso anche riguardo a questo, perché sarebbero state indagini che per giorni, se non mesi, sarebbero state sulle prime pagine dei quotidiani locali e conseguentemente per l’autorità giudiziaria avrebbero avuto un influsso negativo.
S: Io invece, a differenza del collega, non mi sono occupato di reati contro la pubblica amministrazione, quindi non ho avuto quel tipo di difficoltà a cui accennava. Le maggiori sfide professionali le ho incontrate nel settore della criminalità organizzata di tipo mafioso al Nord, perché io ho sempre lavorato a Torino, quindi il problema dell’individuazione e articolazione distaccate delle associazioni mafiose tradizionali, in particolare la N’drangheta al Nord. È stato molto complesso riuscire a raccogliere gli elementi di prova e poi sostenere dal punto di vista giuridico che quelle fossero associazioni di tipo mafioso n’dranghetiste, anche se non agivano con la stessa forza esteriore che hanno nei territori di provenienza, soprattutto quando questi gruppi erano strettamente connessi a istituzioni locali territoriali. Quindi non ho affrontato reati in materia di pubblica amministrazione, ma indagini in cui esponenti politici sono stati coinvolti in vicende di questo tipo, come concorrenti esterni oppure soggetti in qualche modo interessati da questi gruppi con cui sono entrati in relazione. È stato molto difficile proprio capire se si trattasse di una condotta penalmente rilevante o no e poi anche l’esposizione e la ricaduta mediatica sul territorio di queste indagini hanno reso tutto più difficile da gestire. Ho intrapreso scelte operative, investigative e di impostazione del processo complicate.
In riunione avete accennato al fatto che siete entrambi procuratori europei delegati e principalmente indagate su crimini di natura finanziaria, quindi evasione fiscale e frode. Inizialmente questa materia era gestita tramite autorità nazionale, mentre adesso c’è questo organo di competenza europea. Avete notato che ci sono dei miglioramenti e cambiamenti nella gestione?
S: Enormi, un impatto immediato su due livelli: sia a livello dell’efficienza della risposta investigativa europea, perché si lavora in modo molto più efficace, tempestivo e incisivo, sia a livello interno, perché il fatto di avere competenza nazionale come quella europea su tutto il territorio italiano ci consente di evitare tutti quegli ostacoli che la legislazione processuale interna all’organizzazione giudiziaria nazionale prevede, quindi non ci fermiamo di fronte alle singole porzioni di territorio di competenza dei differenti uffici giudiziari. Si ha dunque una visione d’insieme di straordinaria efficacia e importanza.
P: Condivido assolutamente con il collega. Per certi settori devo dire che le procure nazionali, non per loro demerito però, appunto, perché devono affrontare una miriade di attività, hanno una visione meno generale, e certi fenomeni non riescono ad affrontarli. Per esempio, il contrabbando a livello delle procure nazionali è quasi misconosciuto, ci si dedica saltuariamente e non si fa mai un’attività sistematica di contrasto all’evasione legata ai dazi doganali. Invece, con la procura europea si è cominciato ad impostare una certa sistematicità. Il fenomeno, per esempio, di evasione dei prodotti cinesi sui nostri mercati lo ignoravamo a livello sostanziale di procure nazionali, mentre ora quantomeno il fenomeno è visto. Dopodiché, contrastarlo efficacemente è sempre molto difficile, ma quantomeno il fenomeno è inquadrato. Se è presente come crimine (perché poi c’è anche parte lecita), da parte delle procure nazionali è difficile da intravedere, mentre noi riusciamo, sia perché siamo specializzati, sia perché abbiamo contatti con gli altri Stati.
Nella vostra professione, quali strumenti strategici utilizzate maggiormente per contrastare la criminalità organizzata?
S&P: Non sono strumenti diversi da quelli che useremmo in patria, perché il codice di procedura penale che noi possiamo adottare è sempre quello italiano e quindi gli strumenti giuridici a nostra disposizione sono quelli del nostro codice di procedura penale. Ovviamente attraverso EPPO abbiamo la possibilità, tutte le volte in cui abbiamo la necessità di compiere attività investigativa all’estero nell’ambito dei 23 Stati in cui agisce la procura europea, di rivolgerci a colleghi dello stesso ufficio con cui abbiamo un dialogo abbastanza frequente e intenso, e che hanno una cultura giuridica diversa dalla nostra, questo è il grande vantaggio. Se un giorno limitassero pesantemente per le procure italiane le intercettazioni, questo ricadrebbe anche su di noi, ma altri investigatori della procura europea non avrebbero la stessa difficoltà perché non avremmo gli stessi strumenti a disposizione.
Per quanto riguarda il futuro, pensate che l’intelligenza artificiale potrebbe essere un aiuto nella lotta contro la criminalità organizzata? È già usata adesso?
P: Sì, si sta iniziando a parlare di intelligenza artificiale. Nel settore di investigazione di polizia, dove non ho competenza per darle una risposta, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale è già abbastanza sperimentato. Per quanto riguarda il settore giudiziario investigativo delle procure europea e della repubblica, invece, il problema dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale è quello dell’attendibilità e dell’integrità dei dati. Per quello che ho capito, l’intelligenza artificiale necessita di una base dati dalla quale poi attinge per dare una serie di risposte, collegamenti e visioni complessive. Il problema è che noi abbiamo bisogno dei dati che raccogliamo durante l’attività d’indagine e per questo credo che ci sia già una iniziativa legislativa europea sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel settore dell’attività giudiziaria, ma al momento siamo ancora in una fase di elaborazione. Si sta valutando quali possono essere gli strumenti normativi e le potenzialità alternative effettivamente utili ed utilizzabili. A livello investigativo, ci si chiede quale sia la capacità predittiva dell’AI di quello che può essere uno sviluppo criminale di un dato. Per il nostro lavoro però è essenziale sapere da dove viene quella fonte, quale credibilità ha questa informazione e come è stata acquisita. Sono tre elementi fondamentali per avere un’attendibilità di quello che ci viene dato. Da questo punto di vista è difficile pensare che una fonte possa essere un’intelligenza artificiale a carattere predittivo. Noi ci occupiamo di tutto ciò che è meno preventivabile, e riuscire a scommettere su come si evolve un settore criminale, come sull’irrazionalità dei comportamenti, non è comunque così semplice. L’AI è un settore con cui bisogna fare i conti, ma non lo vedo a breve introducibile nel nostro campo professionale, per tutta una serie di problemi legati all’integrità dei dati utilizzabili, alla loro ricaduta, la conservazione. Non possiamo dare in pasto a ChatGPT i dati di un’indagine, no?
S: Da questo punto di vista siamo ancora in una fase di analisi di quali potrebbero essere le applicazioni dell’AI e se dal punto di vista normativo è possibile arrivare a quegli obiettivi ed utilizzi. Un conto sono le ricerche di giurisprudenza – e anche quelle sono difficili per la validazione dei dati, che per noi è essenziale –, un conto è il nostro un settore molto specifico, dove il dato non è accessibile a tutti e soprattutto anche la valutazione e l’uso che se ne fanno sono nelle mani di quei soggetti titolari dell’indagine. Bisogna trovare soluzione giuridica sapendo quali possono essere gli utilizzi delle ricadute utili per un’analisi di materiale probatorio acquisito per relazioni e interrelazioni. Su questo sarà utile ma dobbiamo ancora fare un po’ di strada, si devono considerare gli sviluppi nel settore in generale. Per il momento il riscontro della genuinità e veridicità del dato è il risultato di metodi tradizionali.
Avete mai ricevuto minacce o subito ritorsioni durante la vostra carriera professionale?
S: Allora, minacce dirette ne ho ricevute in ambito della mia attività antiterrorismo. Poi ci sono state bravate sui muri, scritte offensive legate all’attività contro i colletti bianchi, però non legate alla criminalità organizzata. Più che altro erano espressioni di disappunto sul fatto che si facesse attività investigativa efficace nei confronti di corruzione ed evasione fiscale.
P: A me è capitato di ricevere minacce da parte di organizzazioni di tipo mafioso, come la banda della Poiana e mafia estera, cioè in particolare associazioni di tipo mafioso nigeriane. Qualche minaccia mi è arrivata, ma sono state tutte gestite in modo professionale da chi ha questo compito e poi non hanno avuto un grosso impatto sulle mie abitudini e quotidianità lavorativa e privata, per fortuna.
Per quanto riguarda le organizzazioni criminali, il loro modo di agire si è evoluto?
P: Dipende dall’organizzazione criminale perché ognuna ha la sua specificità, la sua organizzazione interna, i suoi ambiti e coordinamento giuridico interno e parallelo. È aumentata sicuramente la complessità e difficoltà di aggredire le associazioni criminali mafiose ma anche tradizionali, non mafiose. Sono sempre più sofisticate perché miste ad attività economiche o legali, oppure legate ad esponenti della società civile, del mondo dell’imprenditoria e dell’economia, editoria, finanza politica e delle amministrazioni in generale. Quindi direi che è aumentata la complessità del fenomeno e, specularmente, la difficoltà di investigare e dare una risposta repressiva e investigativa efficace.
S: Io aggiungo che si sono professionalizzate e sono diventate più competenti in vari settori, come sulla circolazione e sull’accaparramento del denaro, quindi hanno molti più appoggi dal lato professionale da giuristi, contabili e esperti di finanza, anche perché in questo modo riescono ad individuare quali sono i punti di debolezza del contrasto. Devo dire che le organizzazioni criminali sono oggi molto più brave che in precedenza ad individuare se c’è un’istituzione particolarmente abile a fare contrasto, cercano di evitarla ricorrendo ad altri sistemi. Noi ci occupiamo di reati transnazionali e la criminalità organizzata riesce a capire quello Stato in cui le dogane non funzionano in maniera efficace ed evita dunque una dogana altrove, oppure Stati in cui invece è debole il rilascio di certificazione d’origine dei prodotti e allora viene sfruttato per questo. Queste informazioni sono passate dai professionisti, perché per un professionista cambia la vita economica riuscire ad avere come clienti alcuni soggetti criminali, si diventa molto ricchi. Le organizzazioni hanno abbassato un pochino l’aspetto criminale plateale del presidio in modo violento per le strade e forse sono meno visibili, si sono avvicinate a dei professionisti e ciò rende per noi più difficile il contrasto.
Procuratore Profiti, lei dal 2003 è esperto per il Consiglio d’Europa e Commissione europea in progetti di sviluppo dei sistemi giudiziari in Albania, Kosovo, Moldavia, Montenegro e Bosnia. Sono tutti Paesi che un tempo erano sotto l’influenza dell’Unione Sovietica: nota delle differenze o delle similitudini nelle giurisprudenze di questi Paesi? Ha avuto difficoltà ad interfacciarsi con le realtà o conflitti interni dei Paesi, come nel caso del Kosovo, o per influenze da parte di Stati terzi, come nel caso della Georgia?
P: Sì, la mia esperienza più recente risale al 2010, quindi sono esperienze un po’ datate. Nel periodo che va dal 2003 al 2010, per le mie esperienze, io terrei separata l’Albania da tutto il resto, perché non è stata nell’orbita dell’Unione Sovietica, anzi negli ultimi anni di regime si è proprio completamente isolata, voleva essere un regime speciale. Da questo punto di vista ha reso più facile per noi la penetrazione giuridica. Questo, anche in relazione ad una vicinanza culturale con l’Italia, proprio perché il popolo albanese all’epoca sentiva i telegiornali italiani e le trasmissioni italiane, ha permesso l’adozione degli strumenti giuridici italiani, anche di contrasto alla criminalità di tipo mafioso in Albania con una certa velocità, diversamente da tutti gli altri Stati balcanici dell’ex Yugoslavia e quindi Kosovo, Montenegro e Bosnia. Qui le resistenze in termini di comprensione dei nostri sistemi giuridici sono state più forti. C’era più rigidità ad accettare l’importazione di concetti giuridici altrui, poi in alcuni Paesi come Bosnia e Kosovo vigeva il problema imperante del conflitto etnico. In Kosovo per esempio noi non siamo quasi mai riusciti, se non una volta, ad avere corsi di formazione in cui fossero presenti anche all’epoca giudici di etnia serba. Non venivano perché avevano paura durante il viaggio di fare brutti incontri. In Bosnia, all’epoca, c’era il grande problema di unificare il Consiglio superiore della magistratura e la scuola della magistratura che erano divisi in due uno per bosniaci e l’altra parte per persone di origine serba. Il lavoro lì fu pesante e ostacolata per questa differenziazione religiosa più che etnica di nazionalismi ormai cristallizzati e con un odio durato ormai in decenni difficile da sradicare. In Georgia sono andato in un periodo in cui temevano da un momento all’altro di essere invasi dalla Russia, c’era questo enorme timore diffuso, come mi aveva accennato la funzionaria georgiana del Consiglio d’Europa, che non rendeva facile parlare di concetti giuridici occidentali. Tutt’ora è una sfida.
Procuratore Casellati, in un colloquio con Steppo, al Jean Monnet Centre of Excellence, corso dell’Università Bicocca di Milano, ha chiarito il ruolo della Procura Europea. Secondo lei, avere istituito un organo di questo tipo a livello europeo può contribuire a livello politico ad un processo di integrazione europea?
S: È la nostra speranza e credo sia una delle motivazioni principali che accomuna tutti noi procuratori europei delegati. Ognuno ha la sua storia, il suo percorso professionale e motivazioni, ma siamo accomunati da una fortissima motivazione e dal fatto che abbiamo visto sia pure con sfumature e sensibilità diverse in questa istituzione una speranza e passo avanti verso l’integrazione europea. È la prima volta che in un settore cruciale quale quello della potestà giurisdizionale, per ora a livello investigativo, l’Unione Europea fa un passo avanti deciso e netto verso una cooperazione e condivisione come uno Stato federale, quasi verso una maggiore integrazione europea. Poi, che sia un passo irrevocabile lo dirà la storia, lo diranno i prossimi anni. Noi speriamo fortemente di sì e mi sento di parlare anche a nome dei miei colleghi non presenti: è uno dei maggiori motivi per cui abbiamo deciso con entusiasmo di partecipare a questo progetto. EPPO rispetto ad Eurojust fa una fuga in avanti e speriamo che questa fuga in avanti faccia un po’ un effetto scia e che anche Eurojust possa ampliare sempre di più le proprie competenze, diventando sempre più simile alla Procura Europea e non solo. Questo è il passato e il presente, il futuro è il modello EPPO in qualche modo. Non è detto che sia possibile subito in tutti i settori, ma per gradi ed evoluzioni successive.
Greta Bianchin
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