L’Occidente e l’Altro
Nella sua più illustre opera, “Orientalismo”, il noto accademico e saggista Edward Said analizzò il concetto di Oriente visto attraverso le lenti degli occhi occidentali. In nuce, la conclusione a cui egli giunse è che il concetto di Orientalismo, espresso in una relazione di potere che vede l’Occidente come dominante, non è altro che una visione paternalistica attraverso la quale l’Occidente esprime la propria egemonia culturale imponendo all’Oriente una visione del proprio sé costruita ad hoc per costruire, attraverso il polemos eracliteo, la propria identità culturale.
Sin dai tempi antichi, infatti, posto che si possa parlare di Occidente come se non fosse un prodotto della cultura WASP volto a giustificare le imprese imperiali britanniche prima, e quelle statunitensi poi, tale “cleavage” tra Occidente e Oriente, noi e l’altro, ha rappresentato un leitmotiv sotto cui il mondo occidentale, o per l’appunto quello che noi riteniamo essere tale, è risultato un forte collante: già nel quinto secolo avanti Cristo, il frammentato quadro delle poleis greche si ritrovò a combattere sotto l’unica egida al fine di contrastare i persiani e l’idea di altro di cui erano impregnati da parte della civiltà greca.
Gli stessi cartaginesi, antagonisti nelle guerre puniche che hanno giocato da enorme catalizzatore per lo sviluppo di Roma come la conosciamo, erano dipinti con caratteri orientaleggianti da parte della propaganda Romana, venendo ovviamente ritenuti moralmente inferiori.
La damnatio memoriae, senza troppi mezzi termini, venne riservata agli imperatori Romani più orientaleggianti quali Nerone ed Eliogabalo, simboli di esoterismo, di assolutismo e di “altro”, un qualcosa di contaminante assolutamente da cancellare dalla civiltà Romana.
Lo stesso Alessandro Magno negli ultimi anni, dediti al mantenimento dell’impero, fu aspramente contestato, talvolta anche violentemente, per il proprio abbracciare gli usi e costumi del cd. “Oriente”.
Inutile sottolineare tutta la retorica di cui si è impregnata l’Europa cristiana da quando l’Islam si è messo sulla mappa del mondo conosciuto.
Le digressioni storiche potrebbero ben continuare, tuttavia, il punto è che, da sempre, tale termine è stato connotato da una repulsiva alterità, come un germe da evitare e combattere a tutti i costi, non da una precisione geografica né tantomeno una veridicità storica nella sua raffigurazione. La realtà è che l’Occidente, in quanto tale, per esistere, necessita fortemente di strumentalizzare questa raffigurazione, del resto un po’ come il bene necessità del male secondo Eraclito, per esistere ed essere definito tale, altrimenti tale monolite ideologico, che monolite nei fatti sicuramente non è, si scioglierebbe come ghiaccio al sole.
All’indomani della seconda guerra mondiale, le lugubri e oscure macchinazioni dell’Oriente, denunciate da Kennan, si erano spostate a Mosca, e la partita si era giocata lungo la cortina di ferro.
Caduta quest’ultima, tuttavia, negli anni ‘90 tale spettro non era stato annichilito: che la storia non fosse finita divenne chiari dall’undici settembre 2001 esso ha cominciato a girovagare tra Baghdad, Teheran, Kabul e tutto il Medio Oriente, con una caccia alle streghe in salsa Teocon, e non; chissà che un domani non possa trovare dimora a Pechino, del resto gli indizi portano tutti lì.
Quello tra l’Occidente e l’Oriente, alla fin fine , non è altro che l’eterna rincorsa di Achille verso la tartaruga.
Nel frattempo, tale feticcio verrà sempre strumentalizzato sia come spauracchio collante del frammentatissimo mosaico occidentale, sia come una scusante dietro cui mascherare i propri difetti: è ormai ben consolidata, e spesso vincente, nel discorso politico occidentale la retorica de “allora gli altri?”, un “altro” che in quanto tale esiste solo negli occhi di chi lo guarda, con supponenza, di cui spesso si conosce effettivamente poco e nulla e che prontamente viene tirato in causa per evitare un necessario processo di autocritica che porti a un qualsiasi progresso, che si tratti di parità di genere o di diritti umani.
In tal maniera, lo status quo ha generato i propri anticorpi necessari alla sopravvivenza.