L’urgente attualità di “A Complete Unknown”

“A Complete Unknown” esce nelle sale italiane il 23 gennaio 2025 e diventa subito un’occasione di scoperta per persone di generazioni diverse. Coloro che fanno parte dei tempi in cui Bob Dylan ha goduto di grande notorietà scoprono la presenza fresca e coinvolgente di un inedito Timothée Chalamet, giovane interprete del protagonista, mentre chi al cinema si è recato proprio per quest’ultimo avrà la possibilità di venire a conoscenza della vita e della carriera di chi ha fatto la storia nel mondo della musica e, proprio attraverso questo mezzo, anche nel mondo politico.

La trama è stimolante, i protagonisti affascinanti e sensuali, la città di New York con i suoi fumi, le sue strade trafficate e la musica proveniente dai locali nelle sue viscere, circonda lo spettatore e lo ingloba nelle sue dinamiche vive e paurose.

La musica è proprio uno degli elementi fondamentali di questo film, e non solo perché (ovviamente) si sta parlando di uno dei musicisti e autori più famosi della storia (e dunque la musica risulta un elemento imprescindibile da sviluppare) ma anche per la potenza che risulta racchiusa in essa. La storia di Bob Dylan e della sua musica si ritrova intrecciata in maniera inestricabile a quello che sta succedendo in quegli anni nel mondo, e che ha soprattutto una grande eco negli USA: la guerra del Vietnam, la minaccia di una guerra nucleare, la crisi missilistica di Cuba, la morte del presidente Kennedy sono fatti storici rappresentati in scena, che permettono allo spettatore di approfondire e comprendere le cause profonde dei sentimenti di Bob Dylan, che ispireranno le sue canzoni pacifiste e anti militaristiche. Blowin’ in the wind in primis, ma anche Masters of War sono due delle canzoni chiave della sua produzione artistica che si schierano apertamente e senza filtri contro i governi sanguinari e contro chi giustifica la guerra in nome della democrazia, interpretate magistralmente da Chalamet.

“Come you masters of war
You that build the big guns
You that build the death planes
You that build all the bombs
You that hide behind walls
You that hide behind desks
I just want you to know
I can see through your masks”

Masters of war (1963)

Sono parole provenienti da una coscienza lucida, sicura delle sue idee e tuttavia sempre alla ricerca della verità e del proprio posto nel mondo. Difatti il lungometraggio non si concentra solo su fatti politici, anzi, possiamo dire che la politica si pone da sfondo alla vita e ai cambiamenti che si susseguono nella persona stessa di Bob Dylan, nei suoi eventi di vita privata e nelle sue sperimentazioni in nuovi generi musicali, che lo porteranno ad allontanarsi dalla musica puramente folk, seguendo una sua strada di libertà verso quella elettrica.

Personalmente ritengo che non sia solo un film affascinante, non rimane infatti chiuso nelle quattro pareti dei cinema del mondo, intrappolato all’interno dei grandi schermi. È un film che si rivela straordinariamente attuale, con cui si possono fare molti parallelismi col presente, sessant’anni dopo. Le guerre nel mondo e le minacce nucleari sono argomenti di cui si parla sempre di più, e il ruolo degli USA in queste dinamiche è tutto fuorché distante. In un’America che in questi ultimi mesi è radicalmente cambiata, che sta mostrando il volto della repressione e della violenza già latente in precedenza, e in un mondo occidentale tutto che piano piano si chiude nell’odio e nel puro interesse militare e monetario, ci si potrebbe chiedere se esiste una qualche voce del presente che possa essere presa di riferimento come è stato fatto con Dylan.

Esiste o esisterà qualcuno che avrà la forza di prendersi una responsabilità così grande e ispirare milioni di persone attraverso la propria arte? Sarà un unico individuo, o un movimento collettivo? Sarà un fenomeno futuro, o qualcosa che è già in atto ma ancora invisibile agli occhi dei più?

Per quanto ognuno possa essere d’accordo o in disaccordo con queste specifiche domande, è chiaro che uno dei messaggi più importanti che vengono lanciati dal film è proprio quello che le azioni che compiamo sono politica, che l’arte può essere utilizzata per cambiare le cose nel mondo e che chiunque abbia passione può mettersi all’opera per dare il suo contributo.  La musica non è solo un prodotto culturale da ascoltare nelle cuffiette mentre si è in palestra. La musica è un’azione collettiva, un movimento sovversivo, parole da gridare per esprimere sentimenti e dissenso, paura e rabbia, per trovare una dimensione comune in un mondo che sembra frammentato e senza risposte.

“Come mothers and fathers
Throughout the land
And don’t criticize
What you can’t understand
Your sons and your daughters
Are beyond your command
Your old road is rapidly agin’
Please get out of the new one
If you can’t lend your hand
For the times they are a-changin’”

The Times They Are A-Changin’ (1964)

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