In bilico tra distopia e realtà

In qualunque modo lo si declini, il futuro suscita in noi un fascino tutto particolare, da sempre. Una buona parte di ciò che siamo e facciamo nel presente, nell’hic et nunc, finisce inevitabilmente per svilupparsi in funzione di esso. A volte ci farebbe comodo prevederlo, tanto da immaginare di leggerlo ovunque: nei fondi di caffè, in una sfera di cristallo o sui quotidiani. Nei tempi in cui il futuro si è rivelato più incerto, il genio creativo di grandi artisti ne ha idealizzati tanti tipi, tramutandoli in note musicali, inchiostro e pellicola.

Sebbene la distopia sia un genere moderno, non è difficile trovare suggestioni simili sfogliando a ritroso le pagine della storia: la filosofia di Sant’Agostino, le apocalissi bibliche e, perché no, l’inferno dantesco. Come la descriveremmo, se la Divina Commedia fosse stata pubblicata nel ventunesimo secolo? Un road trip ultraterreno in salsa medievale? Un poema allegorico con venature sci-fi? Un fantasy teologico con sfumature horror e morali? La verità è che l’aldilà del sommo poeta è la distopia più spietata che sia mai stata concepita.

L’Inferno è una società chiusa, rigidamente gerarchica, senza possibilità di redenzione. Ogni peccatore è incasellato in un sistema perfettamente efficiente e disumanizzante: un totalitarismo ultraterreno. Un sistema giudiziario basato sulla tortura eterna, su pene che vengono per giunta cucite su misura. Nemmeno Kafka sarebbe mai potuto arrivare a tanto. Il libero arbitrio è un’illusione. Tutti i dannati hanno scelto il loro destino, ma sono intrappolati senza possibilità di cambiare il sistema. Nessuna rivolta, nessuna speranza. Sono animali, carne da macello. Simili a quelli che Orwell ha messo in una fattoria.

Tra le serie, a fare scuola è stata Black Mirror. Ci sbatte in faccia scenari inquietanti, specchi neri da cui sorgono spontanei molti interrogativi. Vale la pena appiattire vite, emozioni, esperienze rincorrendo like, cuoricini o visualizzazioni? Stiamo diventando strumenti dei nostri stessi strumenti? Siamo sicuri di stare attribuendo il giusto valore al tempo e alle cose?

Per necessità di sintesi sorvolo su altre opere pop del piccolo schermo, anche se le recenti Upload, Person of Interest e Devs potrebbero meritare la vostra attenzione. Anche alcuni capolavori del cinema risultano davvero inquietanti, per quanto sono diventati verosimili. V per Vendetta e The Truman Show rimangono quanto mai attuali. Sempre nel filotto «società iper-tecnologiche e sorveglianza di massa», un libro del 1996 risulta particolarmente profetico. In Infinite Jest di D.F. Wallace tutto ruota intorno all’Intrattenimento – con la I maiuscola – un film così assuefacente da rendere chi lo guarda incapace di smettere, portandolo alla morte per inedia. Una cinica metafora della società ossessionata dal piacere immediato e dall’evasione, che porta alla paralisi mentale e fisica, con tratti tremendamente simili alla dipendenza da social network e da contenuti spazzatura.

Il presente e la distopia ormai si specchiano l’uno nell’altra. Non c’è più bisogno di futuri immaginari per inquietarci: i deepfake ridisegnano la realtà, le guerre si seguono come dirette social e la verità è diventata un’opinione tra le tante. Non è più il futuro a inquietarci, ma il presente stesso, che si confonde con le visioni più oscure della letteratura e del cinema. Vaghiamo senza meta in una grande selva oscura, senza nemmeno il buon Virgilio a farci da GPS etico e morale.

Riccardo Eger

Zaino in spalla e voli low-cost, poi, nel tempo libero: tennis, giornalismo e Studi Internazionali

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